venerdì 7 settembre 2012

Km 0?

   In Italia si coltiva circa un decimo dei vegetali che vengono consumati. Questo, oltre ad essere assolutamente idiota da ogni punto di vista: logistico economico e nutrizionale (ma stiamo scherzando, noi che abbiano le eccellenze alimentari dobbiamo comprare le schifezze da fuori?) lo è dal punto di vista dell'indipendenza. Insomma, siamo nell'area Euro ma, se per caso ne uscissimo, come ce la caveremmo? Male credo, visto che non potremmo più importare dall'estero quello che non
sappiamo più produrre in casa.
   In Svizzera, a questo proposito, sono drastici. La Svizzera, si sa, in caso di guerre alza il ponte levatoio e si fa i fatti suoi, chiedendo solo di essere lasciata in pace ed aiutata, in questo, dalle montagne che la circondano. Eppure, anche in caso di guerra, si deve pur mangiare no? Ed ecco allora che il governo svizzero, che evidentemente a queste cose ci pensa, incentiva l'agricoltura interna in modo che in tempo di pace, la produzione interna ammonti almeno alll'80% del consumato. In tempo di guerra, nel caso, basterà tirare un po' la cinghia per andare a vanti ad libitum. E noi? Noi no, ovviamente. Noi importiamo il 90% di quello che consumiamo.
   Ed allora iniziamo a farci delle domande: Se l'agricoltura nostrana venisse incentivata, integrando il prezzo al produttore in modo da consentirgli di reggere la concorrenza e di lavorare nel migliore dei modi, chi pagherebbe questo costo? Bé, è abbastanza ovvio che i soldi li dovrebbe sborsare lo stato, cioè noi, ma dove finirebbero in fin dei conti questi soldi? Ve lo dico io, finirebbero in Italia. Non male visto che ora come ora quando compriamo frutta e verdura, i nostri soldi finiscono in massima parte all'estero, in aziende che, detto per inciso, se pagano le tasse, e non è detto che sia così, non le pagano certo allo stato italiano. Ecco allora che una apparente spesa diventa, come per miracolo, un guadagno. Più lavoro, più utile prodotto in Italia, meno soldi che prendono la via della frontiera.
La campagna toscana
   E se potenziassimo l'agricoltura nostrana, l'allevamento e tutta l'industria di trasformazione alimentare, cosa succederebbe al territorio? Diciamo subito che c'è modo e modo per fare le cose. Si può cedere agli interessi delle grandi imprese, spesso multinazionali, ed avviare coltivazioni e lavorazioni industriali, o si può preferire la piccola impresa, quella locale, quella fatta da persone che non si arricchiranno ma che, semplicemente, trarranno di che vivere dignitosamente dal loro lavoro. Ecco, questo tipo di azienda, quella che non coltiva centinaia di ettari in monocoltura, quella che integra coltivazione ed allevamento, quella che preferisce la rotazione alla sovraconcimazione, quella che non mira all'utile immediato incurante dell'impoverimento del terreno, questo tipo di azienda, dicevamo, ha un impatto positivo sul territorio. Tecniche antiche, in uso fino alla fine del secolo scorso, possono essere riscoperte, integrate con le moderne conoscenze e valorizzate per creare un nuovo tipo di turismo, quello dove il mangiar bene si sposa con il godere di un territorio non ferito dal lavoro dell'uomo, ma migliorato. Non per niente, se ci pensiamo, la Toscana, con i suoi vigneti, le sue chianine e gli oliveti, è una delle mete preferite del turismo inglese ed americano. Ebbene, tutta l'Italia potrebbe essere così, un'oasi di pace, paesaggi e buon cibo.
   E l'industria? Come entra l'industria in questo discorso? Be', che l'Italia fosse un paese industriale ce lo ha raccontato Berlusconi e, in questo modo, ci ha messo nei guai. Per fare un paese industriale ci vogliono le materie prime, l'energia e l'acqua, in Italia mancano tutte e tre. Certo, possiamo avere qualche industria di nicchia, ma non siamo la Germania, le automobili sarebbe meglio che le comprassimo all'estero e che da noi ci limitassimo a fare le fuoriserie che, detto per inciso, si vendono bene. Tolte le industrie di trasformazione alimentare, e quelle poche industrie di nicchia che riescono a fare fatturato all'estero senza svendere il paese, converrebbe forse lasciare solo l'industria del vestiario, dei mobili e dei pellami. Sì, ma non con l'intento di fare concorrenza ai cinesi, è una battaglia che non potremmo vincere. Meglio limitarsi a fare quello che sappiamo fare, cercando l'eccellenza.
   E la scuola? Diciamo che in questi anni si sono fatti passi da gigante nell'appiattimento dell'istruzione. Se istruzione per tutti vuol dire livellarsi al più cretino, meglio tornare ai vecchi sistemi dei pochi ma buoni. Ne è la prova il fatto che l'università italiana, un tempo molto gettonata dagli stranieri, ora è vilipesa e che la maggior parte dei nostri laureati sia senza lavoro o che si trovi costretta ad accettare lavori che, con il titolo di studio conseguito, di attinenza ne han ben poca. Del resto i migliori, anche oggi, vanno a lavorare all'estero, quelli scarsi no.  Creare sbocco occupazionale anche per chi preferisce interrompere lo studio in giovane età migliorerebbe la qualità delle scuole, liberandole dall'onere di lavorare con studenti non motivati.
   Ecco, ho finito. Sono incorreggibile, sono partito da quattro pomodori e sono finito col rifare l'Italia, ma del resto sognare non costa nulla. Eppure, utopia fino a che vogliamo, ma è proprio un sogno? Non si può fare nulla per fermare Monti ed i suoi mandanti? Siamo davvero una democrazia solo sulla carta, dove il volere dei cittadini conta come il due di coppe quando briscola è bastoni?
   Domande dalla risposta difficile. Siamo troppo educati, troppo ligi, troppo abituati a pensare che le bistecche vengano dal supermercato e che il governo sia in un qualche modo un organo superiore quasi come se fosse, come il Re d'altri tempi, scelto per volontà divina. Non arriveremo mai ad agire contro la mano che ci comanda, come il bue che, sia pure con la forza di venti uomini, non si oppone alle tirelle che lo aggiogano all'aratro.
   E guardate che non sto parlando di costruire Molotov e fare la rivoluzione armata, sto parlando di usare un'arma molto più efficace delle bombe e, specialmente, assolutamente legale, il proprio dissenso.
Comunque siamo noi che
tiriamo il grilletto di questa
pistola, il fatto è che lo
facciamo senza pensarci.
   Ci hanno abituati a pensare che il voto si possa esprimere solo apponendo una croce sulle apposite schede colorate, niente di più falso. Ogni volta che comprate qualcosa votate. E' il vostro denaro, speso nel modo sbagliato, che finanzia questo sistema. Si, è vero, ci sono i cattivi, ed è vero che ci hanno tolto la possibilità di esprimere il nostro parere nel modo previsto dalla costituzione semplicemente non offrendo, in mezzo alle possibili scelte, alternative ragionevoli, ma non ci hanno ancora impedito di comprare quello che ci pare. Certo, andare al supermercato è più facile, non serve usare il cervello e forse, alla fine, ci regalano anche un indispensabile set di tre posate per ogni cento euro di spesa, ma possiamo ancora scegliere.
NO,
NON LO PREMO
   Basta così poco, basta dire NO, non è italiano, non lo compro. NO, è coltivato in modo inaccettabile, non lo mangio. NO, è eticamente inaccettabile, non lo compro. NO, non è nel mio interesse o in quello del mio paese, non lo faccio. NO, non è interessato al bene del mio paese, non lo voto.

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