domenica 18 settembre 2016

Ushuaia, il mondo alla fine del mondo.


Corso principale della città
     Ushuaia, Argentina, 3910 km di distanza dal polo Sud, la città più australe del mondo. Non il centro abitato, attenzione, perché questo si trova in Cile ed è Puerto Toro, piccolo insediamento che conta un centinaio di abitanti principalmente dediti alla pesca del granchio reale del sud. Quando parliamo di Ushuaia, invece, parliamo di una vera e propria città completa di aeroporto, ospedale,
negozi, alberghi ed attività produttive, un luogo nel quale si potrebbe vivere e non sopravvivere, un luogo dove il clima, in considerazione alla posizione geografica, è insolitamente mite, dove i bambini possono giocare all'aperto, il mare è pescoso ed il turismo offre una continua fonte di reddito.
Vista della baia di Ushuaia dall'aeroporto
Eppure, arrivando ad Ushuaia, la prima cosa che si nota è che la città sembra, come dire, non nata, in attesa di un divenire che non si è realizzato né, a quanto sembra, si realizzerà mai. Alberghi a cinque stelle vuoti, cattedrali nel deserto costruite in guisa di gigantesche baite tirolesi; una seggiovia che porta al ghiacciaio Marziale a lato di una pista da sci con una spettacolare vista sul mare costruita da anni ed abbandonata, pare, per disaccordi sindacali. Case e baracche che convivono pacificamente in una città priva di qualsiasi forma di piano regolatore, le prime in attesa di invecchiare diventando baracche e le seconde in attesa di un futuro migliore che le trasformi in case. Attività commerciali che spacciano ai turisti prodotti d'importazione a prezzi che gli abitanti del posto non possono certo affrontare e negozietti, più piccoli, che vendono ai turisti meno abbienti gadget di produzione cinese. 
   Ristoranti, questo si, che presentano agli avventori la squisita Centolla, granchio "ragno" gigante talmente grande che le zampe di un solo esemplare possono tranquillamente soddisfare la curiosità, se non la fame, di 8 persone e il rinomato "cordero patagonico", agnello o agnellone di produzione locale, magrissimo, cotto in fronte ad un fuoco di legna per 2-3 ore dal lato interno, per sciogliere il poco grasso presente nelle carni e terminato con un'ora di cottura dal lato della cotenna che deve risultare "biscottata" e saporitissima. Di ristoranti ce ne sono tanti e tutti di buon livello, con materie prime simili, del resto, é difficile riuscire a rovinare un piatto anche se, dopo aver mangiato la centolla, viene spontaneo domandarsi se, invece che limitarsi a bollirlo ed a presentarlo assieme ad un congruo numero di pinze da crostaceo, il granchione venisse preparato, che so, alla "catalana", circondato da verdure e salsine per mitigare il sapore dolce e un po' stucchevole della carne, il risultato non sarebbe nettamente migliore e, alla fine, una domanda similare ce la si pone di fronte al cordero. 

   Voglio dire, lo so, gli antichi cuocevano la carne in questo modo ma siamo nel 2016, hanno già inventato da tempo lo spiedo ed il girarrosto. Da bravo italiano, dopo aver assaggiato il "porceddu" sardo, non posso fare a meno di pensare che se quello spettacolare "cordero" fosse stato infilato in uno "espiedo jiratorio" e cotto di fronte alla fiamma invece che crocefisso, il risultato sarebbe forse stato migliore ma qua ci si scontra con una curiosa caratteristica tipica dell'argentinità, l'orgoglio nazionale, quella cosa che fa si che l'argentino, anche l'argentino benestante, quello che ha girato il mondo e che dovrebbe essere obiettivo, difficilmente accetti di pensare che da qualche parte nel mondo ci sia qualcuno che fa le cose meglio di lui.
Il carcere di Ushuaia,
ora museo, e la sua
simpatica mascotte.
   In ogni modo, parlando della città di Ushuaia, non posso fare a meno di citare un po' di storia e, in particolare, parlare del carcere. Ushuaia era, in origine, nal 1884, un avanposto militare, costruito con il solo scopo di ribadire la proprietà di quello che all'epoca si poteva tranquillamente considerare un inutile pezzo di terra conteso con il Chile. Nel tentativo di promuovere la fondazione di una vera città nel 1896 si iniziò la "colonizzazione penale" inviando ad Ushuaia uomini e donne con lunghe condanne penali. Questi costruirono il carcere con le loro mani, vivendo in un regime di semilibertà che li vedeva di giorno occupati in lavori di disboscamento e di manifattura e  di notte reclusi in un ambiente dove il clima stessa fungeva da sorvegliante meglio di qualsiasi guardia armata. Pochissimi sono stati i casi di evasione ed il fuggitivo, quando non s'è riconsegnato spontaneamente, è sempre stato ricatturato rapidamente. Il progetto di popolare la città con i prigionieri, però, era destinato a fallire per la mancanza di una sufficiente popolazione femminile e, col tempo, il carcere, dopo essere stato usato come edificio militare, venne abbandonato. Oggi è stato restaurato ed ospita un interessante museo navale, la cui visita é caldamente consigliata a tutti coloro che passano per la città. 
   Sempre parlando della storia della città è interessante sapere che nel 1948 Peron, nel tentativo di salvare l'ormai abbandonata Ushuaia, promuove con un bando la trasformazione di quello che era un semplice avamposto in una città. Il bolognese Carlo Borsari si aggiudica l'appalto e parte assieme a 650 volontari per costruire la città più australe del mondo. Difficile dire quale deve essere stata la costernazione degli emigranti quando, dopo tante promesse, sono giunti nella baia di Ushuaia, di fronte al canale di Beagle, ed hanno scoperto che la terra promessa era tanto simile ad un inferno che gli stessi argentini, dopo aver fatto fuori gli indigeni che invece si, quelli ci stavano benissimo, non volevano abitarla. Va detto, infatti, che, dopo aver adempiuto al contratto ed aver costruito ospedale, chiesa, municipio e le basi della città stessa, la maggior parte degli italiani, quelli per lo meno che potevano contare, in patria, su un lavoro, preferì ritornarsene a casa, lasciando la città in mano ad un turn over di persone che, da allora, è caratteristico di questo luogo. La gente non vive, ad Ushuaia, ci lavora. Viene da luoghi lontani e spesso con climi completamente distinti, dal Chaco, da Mendoza, dall'Impenetrabile quando non dall'estero, si adatta a condizioni di vita complicate ed un lavoro spesso massacrante per qualche anno per poi, alla fine, sconfitta dalla precarietà e stanca di attendere un futuro migliore che sembra sempre dietro la prossima curva, non ritorna da dove è venuta. Ritorna un po' più ricca, certo, ma senza nostalgia, Ushuaia è così, una città che ti prosciuga e che non ti lascia certo con il desiderio di tornare.
   Uscendo dalla città, invece, le cose cambiano rapidamente. Qua il parco "de la fin del mundo" è davvero parco, qua le cose si fanno sul serio. Le guide sono gentili, i percorsi ben segnati, i luoghi magici. Malgrado i cambiamenti climatici, che hanno costretto persino i castori ad allontanarsi in cerca di un clima più rigido ed adatto alle loro pellicce, la natura è prorompente, selvaggia ed incontaminata. Nel parco la neve è quasi assente, a fine inverno, e fa caldo. Siamo nella città più australe del pianeta e ci muoviamo con la giacca a vento slacciata e senza guanti. Gli occhiali da neve, protezione quattro e polarizzati, che ci siamo premurati portarci sono assolutamente superflui, il sole è quello di una normale giornata primaverile italiana e non ci sono nevi eterne che possano rifletterlo malignamente. L'autista del furgoncino che ci ha portato fino all'ingresso del parco ci dice, con un po' di nostalgia, che fino ad una decina di anni fa il parco era impraticabile per la neve, in questo periodo dell'anno, ma a noi in fin dei conti va bene così. La neve la conosciamo bene, abbiamo le Alpi per quello ed il poter passeggiare per il parco senza grosse difficoltà non ci disturba più di tanto. 
   Più pesante il clima, invece, quando si esce in barca per andare a visitare il canale di Beagle. Il vento e l'umidità in questo caso fanno si che la temperatura rigida si senta ben di più e la maggior parte delle persone si ripara nella piccola timoneria della barca. Io, ben bardato, decido di restare fuori per godermi ogni secondo del viaggio e stavolta gli abiti pesanti, il berretto, la giacca a vento e gli occhiali sono effettivamente bene accetti. 
   La barca è pesante sull'acqua ed il mare a volte, malgrado tranquillissimo per gli standard locali, tira al mosso. Seduto sull'unico autogonfiabile del battello, un cilindro di metallo arrugginito che dà l'idea di non essere stato ispezionato da un secolo, mi viene da pensare che la sopravvivenza, in caso di immersione in acque a 6 gradi come queste, è di pochi minuti, troppo pochi per pensare ad un qualsiasi soccorso. Mi rincuora il pensare che, in fin dei conti, la barca ha parecchi anni sulle spalle e, se ancora non è affondata, è logico pensare che il comandante sappia il fatto suo.
Marinai scartano il pescato fuori misura
   Il percorso prevede la sosta su di un isolotto e qui, ancorati in una rada riparata, incontriamo dei pescatori che, rientrati dalla giornata di lavoro, stanno selezionando le "centollas" pescate e, calibro alla mano, restituiscono alle acque quelle sotto misura. Vorrei che i pescatori italiani, quelli che scioperano per il fermo pesca, che raccolgono i "nunnati" e che usano di nascosto le reti a strascico imparassero da questi uomini che vivono alla fine del mondo e che hanno capito perfettamente che la loro stessa sopravvivenza dipende dall'impatto sull'ecosistema ma, come si dice "vabbé", questa é fantascienza.
Mentre l'harem si occupa dei piccoli il signore dello scoglio
continua beato a godersi gli ultimi raggi di sole
   Rientrando passiamo per un isolotto che ospita una colonia di "lobos marinos". Ci avviciniamo per scattare qualche foto e subito le femmine, timorose, allontanano dalla riva i piccoli mentre il maschio, incurante della nostra presenza, continua imperterrito il suo pisolino. Sono animali simpatici e curiosi ma, devo dirlo, il loro scoglio fa un odore terribile. Incredibile a dirsi, dopo aver attraversato mezzo globo per vedere questi animali, si rischia di portare a casa più che altro il ricordo della loro puzza. Per fortuna che il gentile comandante ci offre un boccale di birra rossa casalinga che, se anche non aiuta i pochi che soffrono il mal di mare, allontana il ricordo dell'odore dalle nostre menti.
   A posteriore, dopo essere sbarcati, devo dire a coloro che sbarcheranno da queste parti che questa gita deve assolutamente essere fatta. Vorrei aggiungere che deve essere fatta in coperta, adeguatamente bardati, ma non voglio infierire su chi, per non soffrire un po' le intemperie ha rinunciato a panorami incredibili e degni della fine del mondo.

   Ovviamente non si va ad Ushuaia senza visitare il "glaciar martial". Questo ghiacciaio è famoso per la vista spettacolare che si gode dalla cima della funivia, un lungo canalone di neve terminante con la vista sulla baia e sul canale di Beagle, peccato solo che la funivia, per tutta una serie di motivi non perfettamente chiari, non funzioni. Salire sulla neve é faticoso ma aiuta a bruciare le calorie delle cene a centolla o a cordero e la vista vale lo sforzo. E con la panoramica dal ghiacciaio chiudiamo questo breve escursus sulla città più australe del mondo, non perdetevi il prossimo post su "El Calafate". 

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